E. Lodolini, Le origini della Soprintendenza archivistica per le Marche (e la mia attività in quella regione)

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Le Marche nella giurisdizione della Soprintendenza archivistica di Ancona: primi passi, 1963-1965

Una imprevista e imprevedibile situazione caratterizzò la nascita della nuova Soprintendenza archivistica in Ancona e la mia esperienza in essa: l’attività di vigilanza dovette essere ripresa, sostanzialmente, al punto in cui l’avevo lasciata nel 1961, cessando dalla reggenza della Soprintendenza archivistica per il Lazio, l’Umbria e le Marche in Roma. Il mio successore nella Soprintendenza interregionale di Roma, in previsione dell’adozione della nuova legge secondo linee generali già note, aveva evidentemente concentrato la propria attività nel Lazio, abbandonando man mano praticamente ogni attività nelle Marche (e non so se anche nell’Umbria). Di ciò non mi fu data alcuna notizia, ma dovetti scoprirlo casualmente, esaminando le varie pratiche in corso. Perfino le relazioni di ispezioni ad archivi comunali marchigiani effettuate dai colleghi Direttori dei rispettivi Archivi di Stato, una  nel giugno 1962, dieci nel giugno 1963 ed una nel settembre 1963, giacevano agli atti in due copie, in quanto non ne era stata neppure inviata al Ministero la seconda copia, né era stata inviata ai Comuni alcuna delle consuete prescrizione sulla base delle relazioni stesse. Altrettanto dicasi per altre dieci relazioni di ispezioni eseguite nel 1962 dal Direttore dell’Archivio di Stato di Macerata agli archivi di enti esistenti in quel capoluogo ed inviate nell’aprile 1963 alla Soprintendenza di Roma.      

Ma andiamo per ordine. Il D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409, emanato in base alla legge di delega 17 dicembre 1962, n. 1863, cioè un decreto delegato (oggi si chiamerebbe decreto legislativo), raddoppiò il numero delle Soprintendenze archivistiche, portandolo da nove a diciotto, con circoscrizione pari a quella di una regione, salvo per quanto riguarda quella di Torino, che ebbe competenza sul Piemonte e sulla Valle d’Aosta (l’Abruzzo e il Molise costituivano allora una sola regione).

Nacque, pertanto, la Soprintendenza archivistica per le Marche, a decorrere dal 15 novembre 1963. Ne fui nominato dapprima Reggente (Ordinanza ministeriale 15 novembre 1963, comunicata con lettera del Ministero dell’Interno dello stesso giorno 15 novembre 1963, n. 80371/8924.148), poi, dopo la vittoria nel relativo concorso per la promozione al grado 6° (1° febbraio 1965), ne divenni Soprintendente archivistico, 1963-1965, in aggiunta agli altri incarichi, sempre gratuitamente e da svolgere contemporaneamente alle mansioni di direttore, “a scavalco” da Roma, dell’Archivio di Stato di Ancona, nei già detti sei giorni complessivi al mese. Non mi fu dato, cioè, alcun tempo per attendere ai compiti di costituzione e direzione della Soprintendenza: dovevo provvedervi contemporaneamente alle altre mie attività.

Il primo, indilazionabile e obbligatorio compito non fu un compito di istituto, ma, anche qui, l’impianto e la tenuta dei ben sette diversi registri e prospetti di economato, alcuni dei quali da tenere in triplice copia, da redigere ciascuna manualmente[1], oltre all’ordinazione di carta intestata, timbri (compresi quelli metallici, presso la Zecca), ecc. Una macchina da scrivere fu fornita dal Ministero dell’Interno soltanto nel giugno 1964.  

Per creare la nuova Soprintendenza non ebbi né personale, né un locale, né alcuna attrezzatura; mi avvalsi della collaborazione volontaria e gratuita dell’unico impiegato dell’Archivio di Stato di Ancona, l’ottimo Carlo Accattatis, e di quella dell’usciere dello stesso Archivio di Stato, quanto meno per il ritiro della posta (agli uffici statali la posta allora non veniva recapitata: dovevano inviare ogni giorno un proprio dipendente a ritirarla presso l’Ufficio postale principale della rispettiva città), e mi appoggiai all’Archivio di Stato di Ancona, utilizzandone anche il telefono, la luce elettrica, la macchina da scrivere.

Per la cronaca, aggiungo che dal 15 novembre 1963 mi fu contemporaneamente affidata anche la reggenza, sempre “a scavalco” da Roma, della nuova Soprintendenza archivistica per gli Abruzzi ed il Molise, in Pescara. Per fortuna, riuscii a convincere il Ministero, che svolgere sei incarichi contemporaneamente (naturalmente, con un solo stipendio e senza alcuna indennità né alcun compenso per lavoro straordinario) e cioè il lavoro principale nell’Archivio di Stato di Roma, la direzione dell’Archivio di Stato di Ancona, la reggenza della Soprintendenza archivistica per le Marche, i due insegnamenti di Archivistica nella Scuola di Archivio, sede di Roma e corso distaccato dell’Aquila, la redazione della “Rassegna degli Archivi di Stato”[2], nonché altri incarichi, anche in ambito internazionale (Comitati per la redazione di più serie di Guide delle fonti per la storia dell’America latina, dell’Africa a sud del Sahara, dell’Africa settentrionale, dell’Asia e dell’Oceania ed altre attività, con riunioni in Europa, Africa, Asia e America) ed alcuni per conto di Organizzazioni internazionali (Consiglio internazionale degli Archivi, per lo sviluppo degli Archivi e dell’insegnamento dell’archivistica nei Paesi del Terzo Mondo; Organizzazione degli Stati Americani, Washington, per compiti analoghi nell’America latina, un programma nel quale a me furono assegnati, anche per incontri ad alto livello, i cinque Paesi più a sud: Argentina, Brasile, Cile, Paraguay e Uruguay; lezioni o conferenze in vari Paesi stranieri ed attività varie) era il massimo cui potevo giungere, pur dedicando al lavoro tutto il mio tempo, compresi la sera a casa ed i giorni festivi, e senza poter prendere le ferie per molti anni[3], se non qualche giorno in periodi diversi, e in qualche anno (p. es. nel 1964) neppure un sol giorno. Fui quindi dispensato, dal 15 gennaio 1964, dal settimo incarico, quello abruzzese-molisano in Pescara.

La Soprintendenza archivistica di Roma trasmise a quella di Ancona, verso la metà di febbraio 1964, in alcune casse, la documentazione della vigilanza esercitata sino a quel momento sugli archivi non statali delle Marche, di modo che la nuova Soprintendenza poté giovarsi di quanto già operato da quella che possiamo considerare come la “Soprintendenza madre” di quelle di Ancona e di Perugia.

Scrivevo al Ministero dell’Interno, in una relazione datata 30 giugno 1964 (prot. 312/I.4):

…. È anzi da precisare che numerosi problemi hanno potuto essere trattati dallo scrivente, e risolti nel tempo minimo che il sottoscritto poteva ad essi dedicare, soltanto grazie alla competenza specifica del sottoscritto medesimo per quanto attiene agli archivi delle Marche ed a quelli soggetti alla vigilanza della Soprintendenza in particolare; competenza specifica derivante da un’esperienza di quattordici anni dedicati agli archivi marchigiani (così come a quelli del Lazio e dell’Umbria) ed, in primo luogo, agli undici anni trascorsi nella Soprintendenza di Roma (1950-1961), che aveva giurisdizione allora anche sulla regione marchigiana. Ciò ha significato anche poter mettere a disposizione dell’Amministrazione una serie di relazioni personali con amministratori locali, con esponenti degli ambienti culturali marchigiani, di conoscenze e cordiali rapporti con proprietari di archivi privati, con direttori di archivi comunali e di civiche biblioteche, oltre che con gli istituti di cultura regionali. Inoltre, avendo pubblicato la guida degli archivi comunali delle Marche (quale somma di una serie di esperienze, proprie e di colleghi, di ispezioni, di attività di vigilanza), il sottoscritto conosceva uno per uno gli archivi comunali della regione, la consistenza del materiale documentario, i rapporti fra le carte dell’uno e quelle dell’altro, i problemi specifici di ciascuno di essi.

Dopo aver elencato una serie di attività svolte sino a quel momento, aggiungevo: «Il sottoscritto ha avuto inoltre vari incontri con i colleghi Direttori degli Archivi di Stato dei capoluoghi marchigiani ed una riunione generale con tutti i suddetti colleghi, ad Ancona, nello scorso aprile (fuori del normale orario di ufficio: i Direttori degli Archivi di Stato di Ascoli Piceno, Macerata e Pesaro sono partiti dalle sedi rispettive dopo le ore 14 e vi sono rientrati in serata). Tali incontri, e specialmente quello collettivo, si sono rivelati utilissimi, e forse addirittura indispensabili, per uno scambio di idee e di esperienze. Ciascun Direttore è, difatti, l’unico funzionario nella propria sede, e non ha rapporti con gli altri colleghi se non epistolari. Il discutere insieme, invece, i problemi comuni e le soluzioni diverse ad essi date da ciascuno, costituisce un aiuto prezioso per l’attività di tutti e per la funzionalità di tutti. Lo scrivente, nell’informarne il Ministero, ha chiesto che tali incontri siano ufficialmente autorizzati e che possano svolgersi periodicamente (nota del 16 aprile 1964)».

Dopo altre informazioni e considerazioni specificavo: «Quanto sopra è stato realizzato senza che alla Sovrintendenza fosse assegnato personale di sorta (a tutt’oggi, essa non ha neppure un usciere). Il sottoscritto, a sua volta, Direttore «a scavalco» dell’Archivio di Stato di Ancona, ha dovuto occuparsi della Sovrintendenza nei «ritagli di tempo» della direzione dell’Archivio, alla quale, essendo, appunto, «a scavalco» da Roma (dove lo scrivente ha il suo lavoro principale e gli incarichi più notevoli) poteva dedicare già soltanto il tempo che riusciva a sottrarre agli incarichi principali suddetti».

Anche da Roma, oltre che in treno durante i viaggi, tuttavia, svolgevo gran parte del lavoro di Sovrintendenza (secondo un  metodo attuato, del resto, da ormai dieci anni, cioè da quando gli fu affidata per la prima volta la direzione di un Archivio di Stato, quello di Ascoli Piceno, istituito nel 1954), in quanto gran parte del poco tempo che poteva dedicare alla Sovrintendenza quando si trovava ad Ancona era assorbita dall’economato, dalla contabilità, dai registri di presa in carico, dal giornale di entrata e uscita, dai rendiconti e da tutte quelle incombenze amministrativo-contabili prescritte dalla legge, ma assolutamente negative – per il tempo che assorbono ed il “costo” in ore lavorative dei relativi servizi (…) – agli effetti del funzionamento dei servizi di istituto, dei quali esse costituiscono il più grave intralcio.

L’organizzazione di cui sopra è stata resa possibile anche grazie alla collaborazione del Cav. Carlo Accattatis, unico impiegato dell’Archivio di Stato di Ancona, della carriera esecutiva, ma fornito di maturità classica e di diploma di paleografia, diplomatica e archivistica, il quale ha spontaneamente collaborato con la Sovrintendenza, provvedendo ad aprire, protocollare e spedire al sottoscritto in Roma la posta in arrivo, ed a ricevere dal sottoscritto da Roma, protocollare e spedire quella in partenza. Inoltre, il Cav. Accattatis ha prestato la propria collaborazione anche in talune incombenze di economato, fra cui tutti gli accessi alla Sezione di Tesoreria provinciale, per riscuotere le somme da prelevarsi volta per volta sui vari accreditamenti.(omissis)  L’attività prestata dall’Accattatis per la Sovrintendenza è stata data tutta al di fuori dell’orario di ufficio, gratuitamente, ed esclusivamente per zelo, spirito di sacrificio ed attaccamento al servizio. A sua volta, lo scrivente ha svolto preso la Sovrintendenza non solo mansioni dei sovrintendente e di funzionario, ma anche quelle di segretario, di ragioniere, di protocollista e di dattilografo”.

 Purtroppo, di lì a poco questo validissimo collaboratore volontario e gratuito fu collocato a riposo per limiti di età dal 1° ottobre 1964. Aveva diretto a lungo l’Archivio di Stato e svolto, per conto della Soprintendenza di Roma, centoundici ispezioni agli archivi di Comuni e di altri enti esistenti nelle località ispezionate. Merita di essere qui ricordato con qualche cenno.

                  Carlo Accattatis, combattente della prima guerra mondiale fra i “giovanissimi del ‘99” e nella seconda, invalido di guerra, fu assegnato all’Archivio di Stato di Ancona dal 1947 dopo aver prestato servizio in quello di Venezia dal 1927 ed essere stato sospeso dal grado e dallo stipendio e detenuto in campo di concentramento per aver aderito alla Repubblica Sociale Italiana. Resse la direzione dell’Archivio di Stato di Ancona dall’aprile 1948 (dal fascicolo personale risulta che l’incarico gli fu conferito ufficialmente dal 1° luglio) al dicembre 1948, quando fu sostituito, sino all’aprile 1952, da Girolamo Giuliani, “a scavalco” da Roma, Ministero dell’Interno. Dopo Giuliani, Accattatis tornò a reggere l’Archivio anconetano, per sei anni, dal 1952 al 1958, e dal 1955 resse contemporaneamente anche quello di Pesaro dall’istituzione[4] (a Pesaro, fra l’altro, salvò, con decisione ed iniziativa personale, l’archivio delle corporazioni religiose di Pergola, di 549 fra filze, pacchi, registri, volumi, dall’anno 1137, che il locale Ufficio del Registro stava inviando al macero[5]). Successivamente furono direttori “a scavalco” dell’Archivio di Stato di Ancona Giovanni Spedale, da Bologna, dal 1959 al 1962, poi, dal 1962, io stesso, da Roma.

Per incarico della Soprintendenza archivistica per il Lazio, l’Umbria e le Marche Accattatis aveva effettuato, negli anni 1954-1960, ben cento ispezioni ad archivi comunali delle Marche, di cui 38 in provincia di Ancona, 11 in provincia di Ascoli Piceno, 51 in provincia di Pesaro e Urbino, ed inoltre altre 11 in provincia di Terni nell’Umbria. Per questo quando reggevo la Soprintendenza archivistica per il Lazio, l’Umbria e le Marche lo avevo proposto per un encomio, giudicando le relazioni redatte dall’Accattatis sulle ispezioni ai centoundici archivi comunali, nonché alle opere pie, agli istituti di credito, agli enti vari esistenti nel territorio degli stessi Comuni “fra le migliori nella circoscrizione di questa soprintendenza e di gran lunga superiori a quelle di alcuni funzionari della carriera direttiva” (lettera del 31 dicembre 1960, n. 3343/II.1, al Ministero, in cui fu forse un’imprudente ingenuità da parte mia il paragone con le relazioni redatte da funzionari della carriera direttiva). Sulla proposta, un funzionario del Ministero pose l’annotazione “conferito, atti per ora”, cioè essa non fu accolta, con la formula del “per ora”, che era un vergognoso e vile marchingegno burocratico per dire e non dire, ed essere sempre a posto, evitando un rimprovero se la messa agli atti fosse stata considerata più tardi errata. Quando lo conobbi io, poco prima del suo collocamento a riposo, era in non buone condizioni di salute e con gravi problemi alla vista.

Lo proposi ulteriormente, e credo inutilmente, per la nomina ad ispettore archivistico onorario all’atto del collocamento a riposo. Per la sua biografia rinvio al vol. II del Repertorio del personale degli Archivi di Stato, pubblicato nel 2012 dal Ministero per i Beni e le attività culturali, Direzione generale per gli Archivi, ed ivi specialmente alle pagine 195-196.

 L’esistenza di un “arretrato” di due anni nell’attività di vigilanza relativa agli archivi non statali delle Marche – come ho già detto - non mi fu comunicata in alcun modo, e lo scoprii casualmente, nell’esaminare le singole pratiche trasmessemi dalla Soprintendenza di Roma, o su segnalazione dei Direttori degli Archivi di Stato di Ascoli, Macerata e Pesaro, stupiti di non aver ricevuto “per conoscenza”  le consuete prescrizioni ai Comuni dopo le ispezioni. Dovetti perciò provvedere persino ad inviare al Ministero le relazioni delle ispezioni effettuate agli archivi comunali nel 1962 e nel 1963, ad inviare ai Comuni ispezionati le prescrizioni derivante dall’esame delle relazioni degli ispettori (prescrizioni certamente assai meno efficaci che se fossero state inviate subito dopo le ispezioni), a rispondere a lettere giacenti cui non era stato dato riscontro.  

Effettuai un lavoro che mi sembrò necessario per l’impianto della Soprintendenza: il censimento dell’attività di vigilanza esercitata prima dell’istituzione della Soprintendenza stessa, a partire dall’indagine del 1877-1878, che, pur se relativa al materiale statale, raccolse anche notizie su quello non statale. I risultati furono, per la provincia di Ancona, archivi comunali ispezionati 49 (tutti), archivi di altri enti pubblici ispezionati 268, archivi privati noti 41; per la provincia di Ascoli Piceno, archivi comunali ispezionati 73 (tutti), archivi di altri enti pubblici ispezionati 216, archivi privati noti 12; per la provincia di Macerata, archivi comunali ispezionati 57 (tutti), archivi di altri enti pubblici ispezionati 193, archivi privati noti 35; per la provincia di Pesaro e Urbino, archivi comunali ispezionati 67 (tutti), archivi di altri enti pubblici ispezionati 153, archivi privati noti 12.

 Continuai anche successivamente negli incontri collegiali con i Direttori degli Archivi di Stato delle Marche, che si rivelarono sempre utilissimi. Fra l’altro, progettammo la redazione di una “Guida degli Archivi delle Marche”, che giunse poi a buon punto, ma che non mi risulta sia stata pubblicata, ritenendo forse sufficiente la descrizione degli Archivi di Stato marchigiani nella “Guida generale degli Archivi di Stato italiani”. Un tema importante fu l’esame della situazione delle numerose “Sottosezioni di Archivio di Stato”, che secondo il D.P.R. 1409/1963 dovevano essere o trasformate in Sezioni del rispettivo Archivio di Stato o soppresse, e la destinazione, nell’uno o nell’altro caso, del materiale documentario, statale o non statale, esistente in ciascuna.

Svolsi una propaganda in occasione di alcuni concorsi, con comunicati ai giornali locali, pubblicati in evidenza, e diffondendo la notizia dei concorsi stessi negli ambienti culturali locali e con lettere a studenti universitari marchigiani o neo-laureati, per lo più allievi del corsi di Archivistica che svolgevo nell’Università di Roma o frequentatori della sala di studio dell’Archivio di Stato di Ancona. Un giovane studioso di Montegiorgio (Ascoli Piceno), avendo letto la notizia pubblicata dai quotidiani locali, si rivolse per informazioni alla Soprintendenza, e partecipò, vincendolo, ad un concorso per la carriera direttiva, ma entrò in servizio soltanto dopo che io ebbi lasciato gli incarichi nelle Marche. Si trattava di Giacomo Bandino Zenobi.

Due giovani, entrambi orfani di guerra, furono invece assunti per chiamata diretta, come previsto dalla legge, ma soltanto alla fine del 1964, avendone richiesto la segnalazione prima all’Opera nazionale Invalidi di Guerra, che dette risposta negativa, e successivamente all’Opera nazionale Orfani di Guerra, Comitato di Ancona. Si trattava di assunzioni nella carriera esecutiva, per la quale era richiesto il diploma di terza media. Questi due primi impiegati della Soprintendenza furono dal 16 novembre 1964 Italo Salera, nato in Ancona nel 1943, coniugato con prole, con maturità scientifica, studente di Giurisprudenza, e dal 9 dicembre 1964 Ornella Piloni, nata a Cingoli (Macerata) nel 1943, con diplomi di computista commerciale e di stenografia.

Paradossalmente, l’assegnazione di personale provocò una ulteriore crisi di locali, aggravata anche, dopo la nomina di un Direttore residente per l’Archivio di Stato (1° ottobre 1964), dalla coabitazione fra Archivio di Stato e Soprintendenza archivistica. Gli ambienti, infelicissimi, all’interno del cortile del Palazzo di Giustizia, di cui potevano disporre i due Istituti per i due dirigenti, il personale, la sala di studio, erano due stanze in tutto, l’una interna all’altra.

Anche l’Archivio di Stato, una volta collocato a riposo Accattatis (30 ottobre 1964), aveva avuto l’assegnazione di due impiegati della carriera esecutiva; di modo che si era passati, nel giro di qualche mese, da un unico dirigente “a scavalco” presente per sei giorni al mese, un unico impiegato ed un unico usciere per i due Istituti, a due dirigenti (di cui uno, io, “a scavalco”), quattro impiegati, di cui due per l’Archivio di Stato e due per la Soprintendenza archivistica, e due uscieri per l’Archivio, nelle due stanze, una delle quali serviva anche da sala di studio e sala di lettura per chi veniva a consultare i documenti dell’Archivio di Stato, con la contemporanea presenza sino a quattro utenti contemporaneamente: in totale dodici persone, con macchine da scrivere e telefono, con compiti e tipi di attività diversi, ricevimenti del pubblico, colloqui e telefonate anche per questioni riservate, nelle due sole stanze. Il nuovo Direttore dell’Archivio di Stato, poi, non brillava per spirito di collaborazione.

Chiesi pertanto all’Intendenza di Finanza di Ancona, descrivendo questa situazione (4 gennaio 1965, prot. n. 5/II.2) l’assegnazione alla Soprintendenza, a titolo provvisorio – in attesa della costruzione dell’edificio che avrebbe dovuto ospitare Archivio di Stato e Soprintendenza archivistica - di una sede demaniale o l’affitto di un appartamento di quattro o cinque stanze. Reperii anche due appartamenti da prendere in locazione, l’uno in alternativa all’altro, ma l’Intendenza di Finanza impiegò mesi nello svolgimento della pratica, di modo che nel frattempo entrambi gli appartamenti furono affittati ad altri.         

Il lavoro più impegnativo fu però costituito dal continuo carteggio con i Comuni e gli altri enti della circoscrizione, per l’attuazione delle disposizioni date dagli ispettori durante le ispezioni e ribadite di volta in volta dalla Soprintendenza, lavoro reso ancor più pesante dalla necessità di smaltire l’arretrato di due anni con cui era nata la Soprintendenza di Ancona.

La prima, modesta assegnazione di fondi, concessa dal Ministero per la effettuazione di un limitato programma di ispezioni nel maggio-giugno 1964 permise di ispezionare sette archivi comunali. Le ispezioni furono effettuate dai Direttori degli Archivi di Stato di Ascoli Piceno, Macerata e Pesaro. Successivamente, secondo una pessima prassi allora in uso, il Ministero, dopo aver trattenuto per gran parte dell’anno i fondi destinati alle ispezioni, ne assegnò una cospicua quantità verso la fine del 1964, costringendo ad effettuare le ispezioni stesse in gran fretta e nel periodo meno adatto (per motivi climatici, coincidenza con le elezioni amministrative, festività natalizie), dovendosi spendere entro il 31 dicembre le somme assegnate per quell’anno. Furono effettuate diciotto ispezioni, di cui una a fine novembre e tutte le altre in dicembre, alcune delle quali nei giorni 27-31 dicembre, con il fondato, e spesso reale, rischio di non trovare, per ferie, nelle rispettive sedi, Sindaci, Segretari comunali, personale degli archivi dei Comuni e degli altri enti pubblici da ispezionare nelle singole località.

Trattai alcune pratiche per la fornitura a Comuni di scaffalature metalliche a spese dello Stato, ottenni inventari di archivi di Comuni e di altri enti, esaminai ed approvai, con modifiche, delibere di scarti di atti, sia di Comuni che di altri enti pubblici.

Redassi altresì una circolare illustrante le nuove norme della legge archivistica del 1963 (il D.P.R. 30 settembre, n. 1409), che diramai ai 246 Comuni delle Marche, chiedendo anche una brevissima relazione annuale, di carattere essenzialmente statistico, su quattro punti: a) somme stanziate in bilancio per l’archivio, ricordando che le spese per l’archivio comunale erano dichiarate “obbligatorie” dalla legge comunale e provinciale, b) numero di studiosi che avevano frequentato l’archivio storico durante l’anno, suddivisi fra italiani e stranieri (la maggior parte delle risposte fu  negativa, ma il dato fu positivo, anzi, ampiamente positivo, da parte dei Comuni maggiori),  c) se fosse stata istituita o meno la “separata sezione di archivio” prevista dalla legge, cioè l’archivio storico, precisando che, a seguito della modifica introdotta dal D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409, l’archivio storico non doveva più comprendere i soli atti sino al 1870 (come stabilito dalla legge 22 dicembre 1939, n. 2006), ma quelli sino alla data mobile del quarantennio dall’esaurimento dell’affare cui i documenti si riferivano, d) se fosse prevista l’adozione di qualche consorzio archivistico fra Comuni ed altri enti pubblici.

 Numerosi furono anche gli archivi di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ispezionati. Alcuni di essi avevano documentazione di data antica, avendo assorbito monti di pietà. ospedali, opere pie ed altre istituzioni.

Molti enti erano però restii ad adempiere alle disposizioni date, a rispettare la legislazione archivistica, o non erano in grado di farlo, o, semplicemente, non rispondevano ai solleciti, anche se io avevo l’abitudine, sia nella Soprintendenza romana che in quella di Ancona, di indirizzare per conoscenza alla Prefettura e all’Archivio di Stato (ove esistente), del rispettivo capoluogo di provincia, tutte le indicazioni, le prescrizioni, i rilievi, e più tardi i solleciti, che inviavo ad ogni Comune dopo ciascuna ispezione. Le Prefetture spesso intervenivano a loro volta con solleciti o chiedendo ai Comuni (sui quali esse esercitavano allora la vigilanza, tanto da redigere le note annuali di qualifica dei Segretari comunali) se avessero adempiuto alle prescrizioni della Soprintendenza; quanto ai Direttori degli Archivi di Stato, poiché – data la già ricordata carenza di personale – erano essi stessi ad effettuare le ispezioni per incarico (sempre gratuito) della Soprintendenza, e nella stessa occasione non mancavano di visitare per diretto interesse del proprio Istituto anche i fondi archivistici statali esistenti nelle località ispezionate, era ovvio che fossero tenuti al corrente delle prescrizioni date e dell’esecuzione o meno delle stesse da parte degli enti ispezionati.

Mi trovai di fronte anche ad aperte opposizioni e ad una vera e propria guerra contro le istruzioni date ai Comuni dalla Soprintendenza. Un frate, che si dichiarava diplomato in Archivistica, ma che evidentemente non aveva fatto buon uso delle nozioni apprese, ordinava professionalmente, a pagamento, vari archivi comunali, con criteri del tutto personali, attuando antiarchivistici ordinamenti “per materia”, dopo aver diviso il materiale documentario tra “pergamene”, “volumi” e “cartelle”, corrispondenti, a suo dire, ai tre periodi della storia comunale marchigiana: Medio Evo, Governo Pontificio, periodo pre-unitario e unitario” (ma il periodo preunitario non era proprio quello del Governo pontificio? E in molti Comuni il materiale cartaceo si iniziava dal Medioevo, mentre documenti in pergamena, volumi, registri e “cartelle”, cioè faldoni o “buste”, coesistevano negli stessi periodi). Mi scriveva, polemicamente, il 6 febbraio 1965: “Torno a dissuadere il Sindaco e l’Amministrazione Comunale di Morrovalle dal versare l’archivio notarile all’Archivio di Stato di Macerata”, cioè incitava a violare la norma legislativa sull’obbligo di versamento degli atti notarili agli Archivi di Stato. Cito questo caso anche in nota[6] non per ricordare una polemica, ma per sottolineare quali e quante impreviste difficoltà potesse trovare l’azione di vigilanza esercitata dalla Soprintendenza.  

Svolsi anche, con autorizzazione del Ministero dell’Interno, un breve ciclo di lezioni di “Legislazione sugli Archivi”, nell’ambito dell’insegnamento di Diritto amministrativo in un corso di perfezionamento per Segretari comunali e provinciali, con 92 iscritti, per lo più marchigiani, nella Facoltà di Scienze economiche dell’Università di Urbino, sede di Ancona (come già detto, ad Ancona non c’era ancora l’Università), aprile o inizi del maggio 1965. Ritenni che quelle lezioni ed incontri di persona con i Segretari comunali e provinciali fossero particolarmente utili per il lavoro di vigilanza sugli archivi di enti pubblici proprio della Soprintendenza.

Per gli archivi privati, ripresi e continuai i contatti già intrapresi quando reggevo la Soprintendenza di Roma ed effettuai nei confronti di tre archivi privati che avevo dichiarato di “interesse particolarmente importante” nella Soprintendenza romana  (Camerata di Jesi, Albani di Pesaro e Buonaccorsi di Porto Potenza Picena) la dichiarazione di “notevole interesse storico”, secondo la nuova formula introdotta dal D.P.R. 1409 del 1963, assai meno precisa e onnicomprensiva della precedente di “interesse particolarmente importante” generale, e non solamente storico, anzi, in primo luogo archivistico, e poi di qualunque altra natura: geografico, statistico, artistico, ecc. della legge del 1939.

Emisi poi la stessa dichiarazione di “notevole interesse storico” nei confronti degli archivi Colocci-Vespucci in Jesi, Compagnoni-Floriani in Macerata, Leopardi in Recanati e Cartiere Miliani in Fabriano. Per quest’ultimo, si trattava della prima dichiarazione, almeno per quanto riguarda le Marche, emessa nei confronti non di un archivio di famiglia, ma dell’archivio di un ente economico. Debbo dire che i rapporti con le Cartiere, che avevo iniziato nel 1960 nella Soprintendenza romana ed erano stati poi sospesi dal mio successore nella sede di Roma, furono sempre cordiali, tanto che ne ebbi in prestito l’inventario dell’archivio storico, che feci microfilmare dal Centro di Fotoriproduzione e Restauro di Roma.

Organizzai una comunicazione ad otto mani, insieme con i direttori degli Archivi di Stato di Ascoli Piceno, Macerata e Pesaro Giuseppe Morichetti, Pio Cartechini e Gian Galeazzo Scorza, su Gli Archivi delle Marche, con cenni particolari sulle fonti per la storia del Medio Evo marchigiano, nel Convegno di studi storici medioevali marchigiani svoltosi a Sarnano il 27 giugno 1965[7].

Altre attività svolte in quegli anni furono alcune azioni di revindica di “atti di Stato” detenuti da enti pubblici e da privati, pratiche per la fornitura di scaffalature metalliche a spese dello Stato ad alcuni Comuni, oltre alla fornitura di arredi per l’ufficio, alla formazione di una biblioteca specializzata, sia con acquisti che con la richiesta di doni ad istituzioni culturali ed enti pubblici, e soprattutto la pesante gestione contabile di qualsiasi elemento, dall’acquisto dei francobolli alla presa in carico di qualunque bene, da un opuscolo ad una scrivania, sulla base delle norme della contabilità di Stato.

Più volte intervenni presso il Ministero dell’Interno per segnalare la necessità di modificare norme di legge o istruzioni ministeriali. 

Avrei dovuto lasciare la Soprintendenza verso la fine di maggio 1965, ma al momento di dare le consegne a chi era stato designato a succedermi, Angelo Aromando, il 26 maggio 1965, questi, che era stato già nominato Direttore dell’Archivio di Stato di Ancona, ove aveva trasferito la propria residenza, si rifiutò di accettare anche l’incarico di reggente della Soprintendenza (che non dava diritto ad alcuna indennità né ad alcun particolare compenso) e di redigere il verbale di consegne, come stabilito con telegramma del 10 maggio 1965, n. 8924/459 dal Ministero dell’Interno, Direzione generale degli Archivi di Stato. Non potei fare altro che prenderne atto, redigerne un verbale a sola mia firma, ed informarne il Ministero.

Continuai pertanto nelle funzioni di Soprintendente archivistico per le Marche sino alla nomina di un altro successore. Questi fu l’ottimo Lucio Lume, Direttore dell’Archivio di Stato di Catanzaro, che venne all’uopo trasferito in Ancona come residente, ed al quale furono affidati sia l’Archivio di Stato della città dorica (Aromando fu trasferito ad altra sede) che la Soprintendenza archivistica. A lui detti le consegne il 1° agosto 1965, lasciando definitivamente ogni incarico permanente nelle Marche.

Per gli incarichi ad Ascoli Piceno, Fermo, Ancona, fra il 1954 ed il 1965, pur avendo raggruppato i periodi di missione, dimezzandoli di numero (sei giorni al mese, anziché tre giorni ogni quindicina), mi recai 116 volte nelle Marche[8].

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[1] Incombenze molto pesanti e del tutto estranee alla mia competenza, ma che pure dovetti imparare. Dovetti perfino contestare (mia lettera del l’11 maggio 1964, prot. 174/XXX.6) un ordine del Ministero dell’Interno, in merito alla “presa in carico” dei libri acquistati, nel rendiconto periodico inviato allo stesso Ministero, che mi era stato respinto perché avevo preso in carico i libri al prezzo effettivamente pagato, con sconto, e non al prezzo di copertina. Osservai che avevo agito esattamente in base all’art. 448 delle “Istruzioni generali” del Ministero del Tesoro (che, ovviamente, avevo dovuto studiarmi), in quanto se un libro acquistato per lire 2.700 fosse stato preso in carico per il valore di lire 3.000 si sarebbe creata una difformità tra scritture contabili delle spese e registrazione dell’aumento del patrimonio dello Stato; osservai infine che lo stesso Ministero dell’Interno aveva operato, a sua volta, nell’identico modo che ora contestava a me: con circolare n. 21/63 del 31 luglio 1963 aveva annunciato l’acquisto, per tutti gli Istituti archivistici, di un libro dal prezzo di copertina di lire 1.250, da prendere in carico “per il valore di lire 1.000 (mille)” e non per il prezzo di copertina!

Purtroppo la situazione del personale degli Archivi era allora tale che il capo di un grande ufficio, che avrebbe dovuto avere molti dipendenti, doveva fare anche questo tipo di attività; anzi, questo era il più pressante, con precise scadenze e con responsabilità anche penali in caso di errori.  

[2] Mi fu affidato, con la qualifica di segretario di redazione, l’incarico della redazione, a partire dall’annata XII del 1952 della rivista “Notizie degli Archivi di Stato a cura del Ministero dell’Interno”, che aveva quasi la forma di un bollettino, su due colonne, con gli articoli che si susseguivano gli uni agli altri nella stessa colonna. Nel giro di tre anni la trasformai in una regolare rivista, dal titolo “Rassegna degli Archivi di Stato”, che ancora conserva. Mantenni questo incarico fino all’annata XXIII del 1963, per 12 anni, arricchendola altresì di nuove rubriche. Il compito era molto gravoso, né avevo in esso alcun collaboratore, e quindi redigevo io stesso le varie rubriche Legislazione, Notiziario, Organizzazione degli Archivi di Stato, Scuole, Pubblicazioni ricevute, oltre a tutto il lavoro redazionale, revisione delle bozze (nei periodi nei quali ebbi incarichi nelle Marche la correzione delle bozze era uno dei lavori che più spesso facevo in treno), carteggio con gli autori, contatti con la tipografia (era il Poligrafico dello Stato, che per maggiore rapidità recapitava le bozze a casa mia, ad esso vicinissima, anziché in ufficio). Cessai dall’incarico quando fu istituito un “Ufficio Studi e pubblicazioni” con personale a tempo pieno e fu costituito altresì un Comitato di redazione, di cui fui chiamato a far parte.

[3] Nel 1960 ne avevo avuto un “apprezzamento” dal Ministero dell’Interno (lettera del 25 luglio 1960, n. 65366/8924. 148, con oggetto “Ferie non godute”).

[4] Dopo di lui fu Direttore dell’Archivio di Stato di Pesaro Salvatore Carbone, a scavalco dall’Archivio centrale dello Stato (1956-1960). Dal 1960 l’Archivio ebbe un Direttore residente, Gian Galeazzo Scorza.

[5] Salvatore Carbone, Atti delle Corporazioni religiose nell’Archivio di Stato di Pesaro, in “Rassegna degli Archivi di Stato”, gennaio-aprile 1961 (a. XXI, n. 1), pp. 60-88. 

[6] Ho avuto anche occasione di scriverne: Elio Lodolini, Inventari di tre archivi comunali della provincia di Mace­rata (Civitanova Marche, Corridonia, Morrovalle), in "Rassegna degli Archivi di Stato", gennaio-aprile 1965 (a. XXV, n. 1), pp. 107-122. Rinvio a quell’articolo, che elenca una serie di svarioni dell’ordinatore dei tre archivi citati nel titolo, in materia non solo di archivistica, ma anche di diplomatica e persino di storia generale. Solo un esempio di ciascuna delle tre materie. Per l’archivistica, dichiara “… abbiamo tentato di fare (ma solo limitatamente ad alcuni soggetti) quanto auspichiamo al termine della pagina 50: la scelta di fascicoli che hanno attinenza con una singola voce. Quanto sarebbe utile, per esempio, raccogliere e ordinare cronologicamente tutte le carte che riguardano la Scuola (e i vari tipi di essa), i lavori pubblici, ma separatamente per ogni singola voce: ponti, strade, fontane, pubblico ornato, manifatture, fabbriche, industrie. Ne uscirebbe un’enciclopedia che da sola supplirebbe alla storia del paese”: cioè proprio un antiarchivistico ordinamento per materia (mia p. 118).

In tema di diplomatica, descrivendo un documento pontificio parzialmente riprodotto fotograficamente scrive: “Al testo segue il motto d’Innocenzo IV (notas michi fac domine vias vite) stretto tra due cerchi concentrici e il Bene Valete nella consueta forma anagrammatica. Il privilegio è sottoscritto dal papa (Ego Innocentius catholice ecclesie Episcopus) e da sei cardinali e tre vescovi”. Osservai (mia p. 112): È ovvio che i “tre vescovi” non sono altro che tre cardinali dell’ordine dei vescovi, ricordati dal Gams e dall’Eubel, di cui si leggono le sottoscrizioni (uno di essi, Ego Rainaldus Ostiensis et Velletrensis Episcopus, è il cardinal decano, vescovo di Ostia e Velletri, Rinaldo di Segni, di lì a poco eletto papa con il nome di Alessandro IV), mente i “sei cardinali”, a quanto si può dedurre dalla fotografia parziale (si vede, a destra di chi guarda, l’inizio di quattro sottoscrizioni, a sinistra di chi guarda l’inizio di altre due) sono due cardinali preti e quattro cardinali diaconi. Le sottoscrizioni sono disposte, come di consueto, in tre colonne: al centro quelle dei cardinali vescovi, alla destra (sinistra per chi guarda) quelle dei cardinali preti, alla sinistra (destra per chi guarda) quelle dei cardinali diaconi. I “due centri concentrici” (con la croce, il “Sanctus Petrus – Sanctus Paulus” e il nome del pontefice) sono noti con il nome di rota, la “forma anagrammatica” del bene valete è monogrammatica, il “bollo” è la bulla plumbea.

In tema di storia, scrive che il periodo napoleonico "durò tutto il tempo il Regno italico stabilito da Napoleone nell’Italia settentrionale e centrale, Toscana esclusa” (ma il Piemonte, la Liguria, il Lazio, l’Umbria non erano anch’essi “esclusi” dal Regno d’Italia, che comprendeva invece la Dalmazia?).  Successivamente alcune cartelle “si riferiscono alle spese per il passaggio e mantenimento delle truppe «napoletane» e austriache che, dopo aver rimesso il Papa nel possesso dei suoi stati, indugiarono parecchio prima di ritornare ai luoghi di provenienza”. Dubito molto che le truppe napoletane di Gioacchino Murat abbiano “rimesso il papa nel possesso dei suoi Stati”!

[7] Poi pubblicato: Elio Lodolini, Gli Archivi delle Marche, con cenni particolari sulle fon­ti per la storia del Medio Evo marchigiano (con inseriti testi di Giuseppe Morichetti, Pio Cartechi­ni e Gian Galeazzo Scorza a pp. 256-266), in "Atti del Convegno di storia medievale marchigiana" svolto dalla Deputazione di Sto­ria patria per le Marche in Sarnano, 27 giugno 1965, nella rivista "Atti e memorie" della Deputazione di Storia patria per le Marche, s. VIII, vol. IV, fasc. II, Ancona, 1964-1965, pp. 249-270.

[8] Scrisse nel 1968 la collega francese Elisabeth Houriez: “Les Marches constituent, en quelque sorte, l’apanage archivistique de M. Elio Lodolini”, in “La Gazette des Archives”, rivista dell’Associazione degli Archivisti francesi, n. 63, Parigi 1968, pp. 316-317.